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Vendere all’estero B2B: i cinque errori da evitare

Aiutarli a vendere in un mercato straniero è una delle richieste più frequenti dei nostri clienti. Si tratta in genere di aziende manifatturiere che operano nell’ambito B2B e che vedono nell’esportare prodotti e know-how un’importante opportunità di sviluppo.

Per ogni azienda la motivazione è diversa: prestigio, volumi, stabilità dei mercati, maggiore certezza negli incassi. Sono però comuni le insidie e, a volte, gli errori pregressi. Hanno generato insuccessi, diffidenza o perdite economiche, anche ingenti, partendo da medesime matrici: l’ottimismo e la fretta.

 

“Non affrettiamoci, non c’è un minuto da perdere”, avrebbe detto Napoleone alle nostre imprese: un monito all’agire con oculatezza in cui Actiongroup si riconosce in pieno.

 

Quali sono gli errori più comuni delle aziende che si affacciano ai mercati internazionali?

Analizziamoli assieme e vediamo come modificare i comportamenti affinché generino un fattore di successo.

1) Pensare che la conoscenza dell’inglese ti apra tutte le porte

Chi compra è prima di tutto una persona, e tutte le persone amano il suono della loro lingua madre. Soprattutto lo comprendono e ne apprezzano le sfumature, sentendosi a proprio agio nell’usarlo.

Evitiamo di pensare all’inglese come a un passe-partout. Tanto più che - spesso lo dimentichiamo - è solo la terza madrelingua più parlata al mondo dopo cinese e spagnolo.

Certamente è difficile che un islandese o un aborigeno australiano pretendano di usare nel business il loro idioma. Ma è anche vero che i manager di Paesi vicini a noi - Germania, Spagna e in particolare Francia - sono più coinvolgibili se comunicazione e documentazione fanno un uso corretto della loro lingua.

2) Ignorare pregi e limiti della concorrenza locale

La globalizzazione offre a tutti nuove opportunità. A noi come ai nostri concorrenti i quali, magari, già operano sul mercato a cui puntiamo e non sono certo disponibili a cederne quote. È necessario sapere con chi saremo in competizione e quale siano le caratteristiche della loro offerta.

Internet può essere il luogo dove trovare informazioni utili, ma - anche a causa della lingua e del fatto che ognuno condivide online solo quello che ritiene opportuno - non è sempre fonte esaustiva. Lo sono molto di più le fiere di settore che consigliamo di visitare, soprattutto in questi tempi in cui la pandemia sta allentando le sue maglie.

Diventare viaggiatori - cioè coloro che preparano con cura una trasferta - anziché turisti indaffarati: ecco il compito dell’export manager nel predisporre l’apertura di un nuovo mercato. 

3) Dare per scontato che il prodotto italiano vada bene così come è

Evitiamo di credere che si possa esportare senza alcun intervento qualcosa che in origine è stato pensato per il mercato locale. Certo il cuore del prodotto è opportuno che rimanga lo stesso così da non diversificare troppo acquisti e produzione.

Non così è per gli imballi, i lotti da ordinare e le specifiche: devono tenere conto dei trasporti, della distanza e delle normative locali.

Per acquistare da un Paese lontano qualcosa che si potrebbe trovare entro i propri confini o in Paesi dal costo del lavoro più basso del nostro, di solito è perché si sta cercando un prodotto più complesso, magari assemblato, con lavorazioni aggiuntive già incluse e servizi complementari.

Un adattamento dell’offerta può rivelarsi la vera chiave di successo quando si affronta un mercato diverso dal proprio.

4) Ignorare necessità e motivazioni del committente

Generalmente all’estero le aziende hanno dimensioni più grandi rispetto alle omologhe realtà italiane. A fronte di volumi significativi, richiedono però il rispetto di procedure e normative più complesse, parametri in grado di soddisfare obiettivi di qualità e servizio trasversali ai vari stabilimenti del mondo. Dispongono di politiche di acquisto e trattativa studiate e poco flessibili. Ma cercano anche un prodotto o servizio come quello che una azienda italiana sa offrire e tendono a coinvolgere realtà più piccole degli abituali fornitori per calmierare i prezzi.

Per trattare con fluidità c’è un modo semplice: formulare fin dall’inizio all’interlocutore le domande giuste. È suo interesse aiutarci a comprendere al meglio la situazione.

5) Pensare che serva un partner locale

A parte in alcuni Paesi dov’è imposto per legge, non è indispensabile avere un riferimento locale per avviare un rapporto con un Paese estero. Può essere utile solo se dispone di competenze specifiche oppure offre impianti e strutture già disponibili, ma spesso le distanze e la cultura complicano la valutazione dell’apporto.

Affidarsi ad una realtà italiana che conosca il mercato di sbocco risulta una scelta ottimale: è più facile valutarne l’efficienza potenziale in fase di selezione e risulta più agevole l’interazione una volta operativi.

Nel nostro Paese si sta diffondendo sempre più la figura del temporary export manager. Si tratta di un professionista dotato di competenze linguistiche, tecniche e di marketing che affianca la struttura commerciale dell’impresa e può operare a suo nome nell’acquisizione e la crescita della clientela. Il suo coinvolgimento è raccomandato da Governo e regioni che, con specifici bandi, ne finanziano talvolta l’apporto.

 

Leggi anche: Internazionalizzazione: come scegliere il giusto Export Manager

Conclusioni

Il successo di un’espansione commerciale all’estero passa da un approccio competente al mercato, dalla personalizzazione dell’offerta, da uno studio preventivo e dalla raccolta delle informazioni disponibili. Da italiani abbiamo due caratteristiche che ci rendono unici: fantasia e capacità tecnica. Nelle mani di un manager preparato, sono ottime prerogative per il successo di una strategia. 

 

 

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